Marco Oddenino ha recentemente pubblicato una raccolta di racconti intitolata “Il dollaro d’argento“, LAND Editore. Si tratta di un autore di trame horror molto promettente, capace di creare storie magnetiche che catturano il lettore dalla prima all’ultima pagina. Conosciamolo meglio con questa intervista.
Come nasce la tua passione per la scrittura e in particolare per il genere horror?
Faccio una premessa. Mi piacciono i fumetti, e come hobby creo storie che poi disegno, per cui scrivo delle sceneggiature che trasformo in fumetti. Le idee che mi vengono in mente le raccolgo in un block notes. Ma per disegnare, non sempre ho il posto per farlo (al lavoro era impossibile, a casa era appena nato il mio primo figlio e il tempo per me non esisteva più, non che adesso, con anche un secondo nanerottolo, ne abbia da regalare) per cui, nel lontano 2012, mia moglie mi disse: Perché non scrivi dei racconti? Ho iniziato così a sviluppare le idee che avevo scritto sul block notes, potendo farlo anche sul lavoro. In questi otto anni non ho solo scritto i tre racconti del libro “Il dollaro d’argento”, ma anche altri racconti, alcuni in fase di correzione, altri in via di sviluppo, altri ancora in embrione. Sono sempre stato appassionato di horror. Film, inizialmente. Da piccolo li guardavo con le mani davanti agli occhi (non prendetevela con i miei genitori che me li facevano guardare). Il primo, ovviamente, Profondo rosso. Adoravo, e adoro ancora adesso, il brivido che corre lungo la schiena ogni volta che, in casa, mi sposto da una stanza all’altra, al buio, e immagino qualcuno, o qualcosa, nascosto nell’ombra, pronto a saltarmi addosso. Poi ho scoperto i libri di Stephen King.
C’è stato un autore che ti ha formato e/o influenzato maggiormente?
Stephen King. Ho tutti i suoi libri, letti almeno un paio di volte, alcuni anche di più. Mi piace il suo stile narrativo, la sua scrittura senza fronzoli, a volte cruda, spiccia. Mi piace il non finale di alcuni suoi romanzi e racconti, che mi lasciano l’amaro in bocca perché mi da l’impressione che in fase di tiratura abbiano dimenticato di mettere l’ultima pagina, ma questo è bello perché mi lascia la possibilità di espandere la mia immaginazione e di poter creare io un possibile prosieguo della storia. Ammetto che molte storie in fase di lavorazione hanno un finale alla Stephen King, come mi piace definirlo.
Dove hai trovato l’ispirazione per “Il dollaro d’argento”?
Buttavo l’immondizia e per terra ho trovato una monetina da 10 centesimi di dollaro. Rovinata, ho pensato a chi potesse averla persa, o da dove provenisse. Di strada ne aveva fatta parecchia. Poi, la mia mente contorta ha pensato: se fosse maledetta? Da lì, l’idea del racconto. Ma di oggetti maledetti ci sono moltissimi racconti, quindi il mio dovevo renderlo diverso, non la sola minestra rigirata. Ho deciso di raccontare la storia della moneta partendo dalla fine. Spero di aver fatto bene.
Quando scrivi segui una scaletta o costruisci la trama strada facendo?
All’inizio mi viene in mente un’idea, per cui la scrivo dove mi capita. Da lì, penso alla trama a grandi linee, dal primo capitolo al finale, quindi comincio a scrivere. Durante la scrittura però, i personaggi si evolvono, decidono loro cosa fare, per cui devo modificare la trama. A volte la storia prende una piega completamente diversa dalla trama che mi ero immaginato all’inizio, cambiando anche il finale. La storia che sto scrivendo attualmente ha già cambiato due volte il finale, e non è detto che si modifichi ancora.
Hai abitudini particolari per scrivere? Orari, luoghi, ecc…?
Su questo, cerco di seguire il consiglio di Stephen King: “scrivi con la porta chiusa”. Di norma, scrivo con il silenzio. Nessuna musica di sottofondo. Con due bambini piccoli e il lavoro devo ritagliarmi ora e luogo come posso, per cui scrivo in pausa pranzo quando sono al lavoro, da solo, e alla sera, a casa, quando moglie e figli dormono, cercando di non fare le ore piccole perché il giorno dopo si riattacca a lavorare. Ci sono delle eccezioni, nei week end, quando ho un ritaglio di un paio d’ore al mattino o al pomeriggio.
Qual è il tuo pubblico ideale? A che lettore pensi quando scrivi?
Mi piace pensare che il mio libro, i miei libri (ce ne saranno altri, spero), possano leggerli tutti. Anche chi non è amante dell’horror. È chiaro che poi i gusti sono gusti. Io non leggo romanzi rosa perché non mi prendono. Quando si parla di horror, si pensa a sangue, membra staccate, organi che volano da una parte all’altra, ma non è così. Quello è splatter. L’horror è essere chiusi in un stanza buia e udire rumori sinistri intorno a sé, sentire qualcosa che ti sfiora il corpo, avvertire un respiro lieve. E scoprire che nello sgabuzzino dove la lampadina si è rotta, si è intrufolato il gatto della vicina. Di nuovo, qui devo riprendere una frase di Stephen King. La prima stesura la scrivi per te stesso. Io faccio così. Scrivo e mi racconto la storia, a volte sono i personaggi che la raccontano a me, perché io voglio fargli fare una cosa, ma loro ne fanno un’altra. La seconda stesura, la scrivo per tutti i tipi di lettori, cercando di limitare l’uso di parole forti dove non è necessario, o di descrivere scene cruente (mai successo) senza far storcere il naso dal disgusto.
Quanto c’è di autobiografico in ciò che scrivi?
Poco. Può capitare che faccia fare ad un personaggio qualcosa che ho fatto io. In un racconto inedito, marito e moglie hanno una discussione, e ho preso spunto da una delle poche (e qui mi cresce il naso alla pinocchio) discussioni, stupide, avute con mia moglie. Nella storia che sto scrivendo in questo momento, uno dei protagonisti è il responsabile di un centro dove si cambiano i parabrezza delle automobili. Il mio lavoro è cambiare i parabrezza delle automobili, per cui ho preso spunto dal lavoro del mio responsabile. Attingo quello che mi serve per la storia da quello che vivo o vedo nella realtà.
C’è un tema ricorrente nei tuoi racconti?
Gente che muore, impazzisce, fantasmi, cannibali, ispettori delle tasse, tutto quello che può terrorizzare una persona.
Tre aggettivi per descrivere la tua scrittura.
Forse a questa domanda dovrebbero rispondere i lettori del mio libro. Penso che si possa definire scorrevole e avvolgente, che non annoi dopo le prime battute e che quando inizi a leggere vuoi sapere come prosegue (e mio padre, che non ha mai letto un libro, ha letto il racconto il dollaro d’argento tutto in un fiato); reale e diretta, e di nuovo mi riallaccio ad una frase di Stephen King. Evitare di scrivere paroloni come se avessi mangiato un dizionario (non era proprio così), ma sempre comunque riferito al personaggio a cui si vuole mettere in bocca quella frase. Se ad esempio, un tizio che a malapena ha terminato il liceo guarda la Gioconda, non gli farò mai dire: “Non concordo con voi, amici, trovo questo quadro piatto e dai colori scialbi”, ma piuttosto: “Cazzo dite, ragazzi, questo quadro fa cagare”. Potrà non piacere, ma è una risposta reale.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Diventare fottutamente ricco. Scherzo, ovviamente. Continuare a scrivere è la mia priorità. Aggiungere altri racconti, magari un romanzo, al mio primo libro. Farmi conoscere, intrattenere piacevolmente per qualche ora i lettori. Come detto in precedenza, sto scrivendo altri racconti e revisionando altri già scritti.
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