Dieci domande a… Fabio Carta

Oggi vi farò conoscere un po’ meglio Fabio Carta, l’autore di “Armilla Meccanica“, romanzo che vi ho recentemente recensito sul blog.

“Armilla meccanica” – Fabio Carta

Come nasce la tua passione per la scrittura?

Ciao e grazie per l’intervista. La mia passione per la scrittura, mi chiedi? Nasce nella maniera meno romantica che si possa immaginare, ovvero come fuga da un’infanzia caratterizzata dall’emarginazione e dalla continua sensazione di aver gusti diversi e persino di “essere” diverso dagli altri. Pochi amici, tanto tempo in casa, tanta televisione,  qualche libro e molti sogni a occhi aperti. Poi, anche quando le cose si sono normalizzate con l’adolescenza, il danno ormai era fatto. Videogiochi, film, ancora romanzi e sogni su sogni, ma poche realizzazioni concrete, se non qualche disegno o fumetto rudimentale. La passione, ovvero la concretizzazione di questo magma passionale e confuso, è nata e si è definita in età, per così dire, avanzata. Ora, tanto per completare il quadro, ti basti sapere che la scrittura ha assunto quasi un ruolo terapeutico nella mia vita. Diciamo che non fuggo più per mezzo della scrittura, ma di sicuro è la scrittura a non farmi più fuggire. 

C’è stato un autore che ti ha formato e/o influenzato maggiormente?

Non saprei dirti, veramente. Solitamente prendo esempio da dove ritengo valga la pena di farlo, e non solo nell’ambito del mio genere letterario. Per intenderci, non copio, non emulo, io rubo direttamente! In ogni caso non vedo cosa ci sia di male a essere l’epigono di questo o quell’autore. La verità è che, almeno finora, non mi è capitato. Non ho trovato il mio modello, vivo o morto, o un maestro. Inoltre con gli anni che avanzano se ne va la voglia di diventare allievo di chicchessia, anche solo per orgoglio, a torto o a ragione, così come l’elasticità mentale necessaria all’apprendimento, temo. Ho ammirato e ammiro grandi autori, ma a momenti: chi amo un giorno, posso benissimo detestarlo quello dopo solo perché mi è venuto a noia nella ripetizione legittima del suo stile. Volete lo stesso un nome? William Gibson, l’autore di Neuromante, tra i padri fondatori del genere cyberpunk: adoravo e adoro il suo modo di spiegare l’inspiegabile, fregandosene di essere comprensibile e andando dritto per la sua strada, distribuendo suggestioni e intuizioni, anzi no: visioni! Anche Bruce Sterling, altro pazzoide cyberpunk, però mica scherza: un vero feticista della complessità: nulla vale se è prevedibile o banale. In Sterling lo straniamento è la regola. Assurdo o improbabile che sia il suo periodare, non vi troverete mai nemmeno una traccia di luogo comune, garantito!

Dove trovi l’ispirazione per le tue storie?

Ovviamente non nel quotidiano, se veramente la sci-fi, come il weird e la speculative fiction in generale, serve ad allenare la mente al cambiamento infinito che si annida persino negli stringenti limiti della razionalità e dello scientismo. D’altronde non mi capita spesso di parlare con un cyborg o di partecipare alla giornata tipo di un alieno. Quindi vago nell’astrazione, nella riflessione che mi viene stimolata sì, anche dal quotidiano, anche se sotto le mentite spoglie dell’ipotetico (cosa succederebbe se…?) ma per la maggior parte dei casi dal bombardamento d’informazioni a cui ci sottoponiamo ogni giorno, la nostra personale finestra multimediale sul nostro vastissimo multiverso culturale. Una vista garantita da film, serie, videogiochi, notiziari e libri, anche quelli! L’ho già detto che mi piace scopiazzare, vero? Mi nutro di luoghi comuni, anche dei più trash, e poi li “manipolo” secondo il mio giudizio e i miei gusti, finendo per stravolgerli e renderli irriconoscibili, così che da stereotipi prevedibili e consolanti possano diventare spunti di critica e autocritica di costume, o anche solo un aborto semantico… oppure una qualche forma di arte incomprensibile (sic) il cui significato recondito, se ne ha, è lasciato all’interpretazione di altri. Troppo comodo e pretenzioso, come modus operandi, ma tant’è: non ho mai detto di essere perfetto.

Quando scrivi segui una scaletta o costruisci la trama strada facendo?

Appunti, appunti su appunti in maniera disordinata. Poi sistemo gli appunti per categorie, e nel tempo quelle categorie diventano sempre più precise e circoscritte. Alcuni personaggi nascono intorno a una battuta che mi è venuta in mente così, in mezzo al traffico, e che mi sono dovuto sbrigare a trascrivere in una nota dello smartphone mentre guidavo, a rischio di prendere una multa. E poi magari pezzi interi di trama, grazie al magnifico vincolo della coerenza, nascono proprio per dare un senso a quel personaggio. Questo per dirti che odio le scalette, almeno quelle preventive. Le mie scalette vengono dopo, a cose fatte, come un archivista che viene a sistemare uno schedario pieno di roba in disordine, ma che è già lì da tempo. Una scaletta che nasce già piena di buchi e che soltanto quando mi metto alla tastiera prende definitivamente forma nella storia. Altrimenti sarebbe come compilare un modulo prestampato, giusto? Dove sarebbe il divertimento se conoscessi già tutto quello che deve succedere? 

Hai abitudini particolari per scrivere? Orari, luoghi, ecc?

Ritagli di tempo, momenti di calma, a casa o sul lavoro (non lo dite in giro, però). In famiglia, ormai, sanno quello che faccio, o quello che non faccio quando sto lì a passeggiare con lo sguardo nel vuoto: diciamo che mi tollerano, dai. In ogni caso preferisco scrivere la sera, quando nessuno può disturbarmi e io non disturbo nessuno. Soprattutto con le mie inquietanti espressioni meditabonde. 

Qual è il tuo pubblico ideale? A che lettore pensi quando scrivi?

A chi vorrebbe vedere esaltata la forma prettamente letteraria di un genere, la fantascienza, a mio avviso troppo legata ai cliché come agli schemi del romanzo d’appendice, una volta, e a quelli della produzione cinematografica o televisiva in generale, quando non videoludica, oggi. Un pubblico che, a conti fatti, non esiste. La sua esistenza, infatti, presupporrebbe una sensibilità “avanguardista” che manca persino nell’attuale ambiente letterario mainstream, figuriamoci in quello ristretto, asfittico e asfissiante dei bibliomani fantascientisti che, lasciatemelo dire, sono tutti quanti, come me, un po’ in là con gli anni. Cerco di puntare ai giovani, cerco di adescarli – l’ho già detto – con facili stereotipi e iconografie per loro familiari, tratte di sana pianta da videogame e blockbuster, per poi ingabbiarli nei miei ragionamenti intricati, quando ormai per loro è troppo tardi. D’altronde l’unica speranza che ci rimane sono loro, sono gli ignari giovani lettori, così come sono stati giovani i boomer par mio che si sono innamorati al tempo della fantascienza (è un genere popolare e spensierato, che solitamente si conosce e si ama da giovanissimi) ma che ora gli stessi vetero-appassionati rischiano di seppellire con la loro autoreferenziale mania dei classici. Una mania che solo pochi giovani capiscono e apprezzano.

Quanto c’è di autobiografico nei tuoi libri?

Nella saga di “Arma Infero” c’era decisamente molto più Fabio che nei lavori successivi, ma è un qualcosa di abbastanza tipico nelle opere prime. Da qualche parte bisogna pur prendere, visto che, come ho detto prima, non c’è molto da attingere da presunte esperienze dirette con alieni o astronavi. Karan il senzaterra, inquieto e orgoglioso, mi è assomigliato per un certo periodo e lo ricordo con affetto. CA di Ambrose, povero disgraziato, ha qualcosa di malinconico e autodistruttivo che sarei ipocrita a negare come mio. Infine Geuse, il Grande Vecchio protagonista di “Armilla Meccanica”, beh… quanta amarezza ci può essere in un uomo di mezza età che è costretto dagli eventi a tirare una linea sotto tutti i tentativi e i fallimenti della sua vita? Più che autobiografico, il personaggio di Geuse è però una specie di monito, uno spauracchio la cui vicenda mi è stata utile per esorcizzare una paura, quella di vedersi costretti a ricominciare da capo quando si è a un passo dal meritato riposo.  

Quali tematiche ti piace affrontare?

La guerra, il conflitto, come evento ineludibile della condizione umana. Un confronto non per forza violento, fisico, ma anche verbale, persino esistenziale: una tensione continua dove la minaccia di un’offesa pervade l’aria stessa, in ogni momento del giorno, fino a quando anche gli animi più bonari sono costretti a reagire in qualche modo. Mi piace trattare anche dell’onore, la dignità, la povertà e la miseria. Solitamente ci metto anche un po’ di amore, ma è trattato spesso in maniera cinica, quasi strumentale, laddove delle volte sono riuscito a inserirlo a mo’ di incantesimo romantico spontaneo e per compatibilità estetica in quella mistica post-moderna karmica a cui mi affido, come alla Provvidenza, per sistemare tutto secondo il giusto ordine delle cose, buttando qua e là qualche implicito moralismo. Argh, detto così sembra roba terribile, vero?   

Tre aggettivi per descrivere i tuoi libri.

Non facili, impegnativi, stimolanti. Se riuscite a finirli, state pur certo che non li dimenticherete presto. 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Devo assolutamente riprendere la mia “terapia”! Ho pagine su pagine di appunti, ho in mente una trama e spero di riuscire presto a cominciare quello che, almeno nelle intenzioni, sarà un romanzo singolo e il più breve possibile – basta trilogie o saghe! – con l’aggiunta di una tendenza al meta-romanzo che vedrà combattere tra di loro nientemeno che autore e personaggi: sarà la madre di tutte le guerre, almeno per me che dovrò scriverla. Ovviamente sono certo che riuscirò a infilarci dentro qualche robot da battaglia, statene sicuri.

Grazie mille all’autore per questa bellissima intervista!

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Pubblicato da persa_nei_libri

Amante dei libri e della scrittura, adoro perdermi tra le pagine.